Un maestoso e regale cedro del Libano oppure una secolare ed imponente quercia:
se fossi stato io chiamato a paragonare il regno dei cieli a un albero, avrei scelto uno di questi due,
per affermare la grandiosità e la potenza, la spettacolarità di Dio.
Gesù invece come al solito ci spiazza con un modello inaspettato:
il più piccolo tra tutti i semi, il più banale, il più comune,
quello che fatichi a vedere tra l’erba, a cui non fai caso, poco più di niente.
Invece di volgere il nostro sguardo verso il cielo, perché di cielo si parla,
lo costringe a puntare verso il basso, ad aguzzare la vista per cercare nell’orto di casa l’insignificante granello di senape:
non è lontano quel regno, ma già qui nascosto e vivo, non è da attendere e sospirare, ma solo da vedere, cercare, perché la terra è già cielo.
Come dire che Dio non è inarrivabile, ma presente nella piccolezza di un seme, di un dettaglio, di un frammento.
Come dire che il futuro è già qui se lo sai intuire.