Raccontava padre Davide Maria Turoldo:
«Una volta mia madre disse a mio padre, credendo che io non sentissi: “Eh... Giuàn, è meglio che me ne vada prima io, così ti preparo il posto”. E lui le rispose: “Brava, se tu vai, che cosa faccio io qui da solo…?”. “Ma papà — intervenni — cosa dici? hai avuto nove figli!”.
Mi rispose: “Ma voi siete un’altra cosa…”. Se ne sono andati tutti e due quasi insieme».
Con tali educatori come si può non vivere la vita come dono, come amore, come rapporto costruttivo, e il domani non vederlo con gioia e con serenità?
Capisco, allora, perché dall’animo poetico di padre Davide potesse uscire il canto: «Quando suonerete per me, campane, i rintocchi dell’addio… devono suonare con il suono della festa, con il suono della Pasqua. Perché l’attesa della morte è l’attesa del giorno delle nozze».